Ciao,
il programma radio sullo storytelling sta finendo e mi sono imbattuto in un racconto non bellissimo, ma che mi è piaciuto perchè parla di Buenos Aires e soprattutto di perdersi e della
riconoscenza.
In fondo è un pò la storia delle vita della
maggioranza di tutti voi, anche tu che stai leggendo, immagino: tu che pianifichi una
carriera, addirittura una vita, poi presto o tardi ti accorgi che le cose vanno
da tutt'altra parte.
Che non sei il solo con il timone in mano, ma c'è
come qualcun altro oltre a te. Guardi la strumentazione ma la bussola come
impazzisce, influenzata da campi magnetici tutt'intorno.
"La vita è ciò che ti accade mentre sei
indaffarato a fare tutt'altro": avevo letto questo aforisma tanti anni fa
nel risvolto di un'agendina trovata su una corriera. Una frase breve, semplice
e perfetta. Il regalo più bello di John Lennon, insieme alle sue canzoni. Non
me la sono mai dimenticata, come la tabellina del 7.
Perché la traccia della nostra vita è influenzata
da eventi, decisioni, disgrazie, evoluzioni e opportunità che semplicemente non
sono nostre, ma di altri che in un modo o nell'altro ci piovono addosso e ci
influenzano. Ecco, lì è facile perdersi.
Allo stesso tempo, quella traccia dipende però
anche dalla nostra volontà o naturale tendenza a cambiare idea o traiettoria,
affascinati dal nuovo. Perchè alcuni amano cullarsi nell'area di comfort delle
abitudini, altri al contrario sotto quella luce si sentono inevitabilmente
morire, e io sono tra questi. Ecco, lì ci si vuole perdere.
Questo non significa solo cambiare paese,
fidanzata o dentifricio solo perchè qualcuno te ne regala uno di una marca
nuova all'ingresso di un supermercato: credo che sia legato alle priorità,
ossia abbia a che fare con qualcosa che finiamo con il guardare con occhi
diversi.
Il protagonista del racconto che leggevo vive queste
onde lunghe dei suoi bioritmi esistenziali come surfandoci sopra, sempre
cercando di coglierle e mai di scansarle.
Forse non casualmente, si ritrova a percorrere la
strada della sua esistenza quasi sempre all'estero, attratto dalle opportunità,
mentre in Italia vi fa ritorno solo quando costretto dalle circostanze
drammatiche che colpiscono chi gli sta vicino.
E poi, forse non per caso, tutta la storia è una
lunga reminiscenza raccontata in un bar di Buenos Aires, luogo in cui il protagonista Antonio giunge
più o meno casualmente ma che mi piace pensare sia il luogo che lo cura
definitivamente, anche grazie all'aiuto fondamentale di una donna che incrocia
la traiettoria del suo cammino.
Perché la nostra destinazione sono sempre e prima
di tutto le persone, non i luoghi.
Perché a Buenos Aires ci sono stato, poi
ci sono tornato e me ne sono innamorato. Non é una città meravigliosa, mancano
sia mare che montagna, ma c'è quel qualcosa, quel fascino ineffabile che la fa
essere il luogo perfetto per ritrovarsi, la città che ti può offrire la
meravigliosa possibilità di essere riconoscente.
Perché quando si è andati dappertutto e
raggiunto nessun luogo, occorre ammettere a sè stessi che forse è giusto che a
decidere per noi sia chi ci ama, chi ci sta accanto e un pochino muove il
timone della nostra rotta, inclinandolo impercettibilmente fino a raggiungere
l'andatura perfetta.
La riconoscenza in fondo sta lì: accettare
la nuova rotta e mantenerla. Non badare ai propri impulsi ma aprirsi alle nuove
prospettive, meravigliarsi del bello che sta in ogni aiuto, soprattutto quello
non richiesto.
C'è un dolce gusto nel perdersi,
soprattutto quando non si ha la sicurezza di essere salvati, ma solo la
speranza di vivere un'esperienza che ci porterà ad essere riconoscenti.
Qualcosa che accade, ma perchè inconsciamente lo desideriamo.
Ci ho messo molti anni a capirlo, ma dire
sì - quindi in qualche misura aprirsi alla riconoscenza - è una figata. Ascolta
il consiglio: apriti alle persone e impara a dire sì. Ma occhio! E' un duro
lavoro...