sabato, dicembre 13, 2014

Il calcio è la seconda cosa che ci interessa di più. La prima cosa, sono le persone.

Eilà,

ancora una volta torno da un viaggio e mi viene da scrivere.
E ci sta. Perchè se non sei bravo a notare i microcambiamenti, i feelings, i toni e gli umori - come io certo non sono - allora ti vuole sempre un bello choc per tirarti fuori un punto di vista, un paragone o anche un'emozione.
E il Sudamerica è emozione, come nessun altro luogo al mondo, per me e per quel poco che ho visto.

Su Buenos Aires ho ormai una memoria un pochino sbiadita, sono passati quasi 10 giorni e non ho nemmeno una foto da osservare per farmi tornare fuori qualcosa, perchè tanto per cambiare ho perso il mio iPhone e ora so dove andranno (tra le altre) i soldi per il mio regalo di natale.
Però un sacco di cose restano, eccome. I tanos di là, certo molto diversi tra loro, con una vena ora ironica ora disincantata ora nostalgica, ma pieni di sfaccettature e piacevolezze.
Andrea mi ha invitato a casa sua a vedere una partita in tv, poi in un'indigestione di calcio e parilla siamo andati alla cancha de Velez e quindi a mangiare, finendo con un caffè alle 3 a.m.
Indubbiamente è interessante, sono certo che Buenos Aires lo ha reso ancor più interessante, ha un modo di vivere la vita che un pò deve essere suo proprio, un pò deve essere come un'abbronzatura che ti dà il luogo, e che in Italia avevamo forse e ora si è persa, ma va ritrovata.
Alla fine della serata, mi ha lasciato alle 3 del mattino di fronte al mio hotel e per 10 minuti ho rivissuto la scena dell'esperienza di due anni fa, quando un set mi si parò dinnanzi nell'incrocio tra Gorriti e Fitz Roy.
Rileggetevi quel post, le tanto vituperate politiche della Cristina e un'inflazione reale al 30% poco hanno potuto, i venerdì sera a palermo Hollywood sempre quel feeling lasciano, datemi ascolto risparmiate un pò di soldi per il (lungo) volo e venite a vedere con i vostri occhi, di cosa sto parlando.
Andrea è uno che se stessi là lo vorrei vedere spesso, perchè quasi sempre dà una visione inedita di una situazione già vista. Mi fermo a pensare quante volte ho pensato, quante volte ho scritto se stessi là. Dopo 10 anni di viaggio e 6 di mazzate nel posto dove vivo, mai come ora ho ancora voglia di viaggiare per conoscere, importare e aggiustare un pò il posto in cui vivo, per provare a lasciare un mio segno. Ma ne parleremo.

Grazie alle chiacchere con Andrea ho saputo che i lavori in casa degli artigiani, sì quelli di idraulico o imbianchino, solo da noi si chiamano "a regola d'arte" perchè là no, non c'è la tradizione ("Che, que lo quedas asì eso??" ecco cosa dicono i duenos di casa mentre vedono nefandezze apparire sulle loro pareti di casa. Certo che lo lasciano così!).
Alla cancha de Velez ho capito che le partite di fine d'anno sono inutili in tutto il mondo, che anche il Velez è di fortissime origini italiane, che il calcio argentino è in una crisi profondissima poichè qualunque minimo talento è più pagato per giocare fuori, anche in Thailandia, piuttosto che nel campionato del suo paese; poi ho imparato che il papa è in effetti amatissimo, ma al secondo gol fortunoso e in contropiede, un tizio accanto a noi e fino ad allora silente si è alzato in piedi per gridare con voce baritonale "Papa Francisco la putamala que te pariò!!" e allora anche qui ci somigliamo proprio mannaggia.

Dieci minuti di gloria camminando alle 3 di notte per far scendere el asado: mi fermo a osservare una vetrina spenta e un ragazzo chiaramente inglese mi si avvicina, che sta per entrare in casa lì di fianco e con un accento fortissimo mi fa: "como fue tu serada?".
Io squadro sto biondino e decido di trasformarmi in porteno per 10 secondi: soppeso la risposta e poi a mezzabocca biascico "che, yo la voy a empezar ahora mismo, boludo!". Lui ride e entra in casa, facendomi il segno di vittoria. Gol!

Gol appunto: con 3 voli della compagnia arancione valico il confine e poi viaggio lungo il subcontinente verdeoro. E' un'esperienza da fare e rifare, perchè sono certo che non basterà mai. Vedi il sud e ti manca il nord, vedi le città e ti manca la natura, vivi le spiagge ma non conosci i locali e il loro modo di vivere. Non basta una vita per conoscere il Brasile. Te lo assicuro, è così.
Ho la fortuna di conoscere Fer, un'amica che ha vissuto tre anni in Ialia illuminandola con la sua sapienza e modo di essere. E' una bellissima ambasciatrice del suo paese e i certo la prossima Presidenta del paese. Lei mi fa da Cicerone e mi racconta la storia di Porto Alegre, mi ordina di continuo caipirinhas, mi fa provare la migliore picanha della città e insomma mi fa fare due passettini dentro la sua città, il suo stato, il modo di essere dei brasiliani tutti.
Che insomma, non sono diversi da noi ma cazzo stanno bene. Perchè anche noi lo stiamo, ma loro hanno come un pappagallo che deve ripeterglielo ogni mattina quando scendono dal letto.
La vita ha sempre una prospettiva da cui osservarle le cose e, salvo casi eccezionali, può sempre essere vista con più luminosità o più nuvolosa. Siamo noi a gestire questo photoshop sulla foto del nostro quotidiano.
A quanto ho avuto modo di vedere, dovremmo andare a frequentare corsi tenuti da loro su come usare al meglio quell'intrigante programma.
Porto Alegre è diversa e calda, brasiliana e italiana, ordinata e in salita, giovane e con stile classico. Un posto dove la gente va a lezione dopocena per prendersi la laurea in giurisprudenza a 40 anni (e la Fer gli fa lezione, 12 ore di lavoro no stop), dove per il carnevale fanno giusto un paio di giorni di stop, dove a luglio ed agosto può quasi ghiacciare. Dove uno scontrino è "uma notinha", dove il concierge dell'hotel si impegna a affinarti quelle 4 parole in brasileiro che so. Mi è piaciuto.

Poi a Belo Horizonte, ho trovato il perchè del titolo del post. Uno staff ad aiutarci, nella nostra missione di lavoro, sempre disponibile, sempre allegro, sempre tranquillo.

Tu che leggi, quanto daresti per avere una vicina di ufficio che, al suo del telefono risponde con voce vibrante con qualcosa del genere: "Olà.. sìm.. tudo bem... aaahh!! TODA JOYA!!"
Cioè ma ti rendi conto?
(e soprassiedo sui lunghi capelli neri fin quasi al sedere e sui tacchi a spillo di mercoledì mattina!)

C'era poi quest'altra ragazza, Julia, bellissima e con un modo di fare davvero incantevole che ci accompagna a una visita per farci un pò da interprete. Svolge il suo lavoro perfettamente: è una brasiliana che ha scelto di studiare italiano al liceo andando a fare la scuola della Fundacao Torino così.. perchè l'italiano è un sogno (ribadisco: ma ti rendi conto?), non ha origini italiane lo ha fatto proprio perchè le piaceva!
E' elegante, avrà al massimo 25 anni e alla fine, dopo avermi sedotto ancora di più chiedendomi se amo il calcio e che la sua squadra del cuore, che segue sempre, è il Cruzeiro, ci saluta con convenevoli che saranno durati 15 minuti, poi ci prende le mani in un gesto innocentissimo ma che racchiude tutto l'olismo cosmico del bene, una perfezione così assoluta in un movimento che noi in Europa o nel nord del mondo non sappiamo neanche più cosa sia, che nemmeno tra moglie e marito alcune coppie non vivono (ndr: sì, alla tua domanda rispondo sì! me la sarei trombata seduta stante!! e tu se sei uomo, lo stesso).
E alla fine, dopo tutto questo, si accomiata dicendo "spero di essere stata utile per voi in questa giornata, so che questo incontro era importante per voi e mi ero preparata al meglio". 47 minuti di applausi, abbiamo parlato di lei tutta la sera.
Ma il giorno dopo, anche di meglio: c'è una interprete ufficiale che dovrebbe andare ancor meglio di Julia (che in sala è indaffaratissima tra microfoni, foto, cartelline, networking.. a proposito: dopo il liceo, una laurea e un master in marketing), anche lei molto giovane molto appariscente e molto carina. Però va in banana!
Si blocca spesso, la aiutano un pò tutti nel trovare le parole da tradurre, ci sono spesso silenzi imbarazzanti, le nostre frasi si fanno sempre più brevi nel tentativo di aiutarla... vabbè, non una gran figura.
Ma alla fine, quando dopo i convenevoli e lo scambio di biglietti da visita e quattro chiacchere in portoispanoingloitaliano un pò con tutti rimaniamo solo noi, lei, la ragazza giovane e quasi tremante, viene da me e mi dice che si scusa perchè era nervosa e ha fatto un pessimo lavoro, era molto emozionata e ora è dispiaciuta, che sa che non si può rimediare ma che ci augura che tutta la nostra missione vada per il meglio.
Cioè, voglio dire: lei poteva andarsene, confondersi tra la gente, stare zitta e sbattere gli occhi invece è volontariamente venuta a prendersi il suo piatto di merda da mangiare, perchè le persone sono la cosa più importante, questo danno davvero la pena di pensare i giovani brasiliani. Che saranno anche corrotti, scostanti, imberbi, talvolta svogliati ma almeno sulla mia esperienza posso dire che la parte buona del paese è in buone mani.

Di San Paolo non parlo che ho un crampo alla mano, ma lo farò presto. Voglio ringraziare tutti quelli che sono venuti a pranzo il 23, spero si possa ripetere presto.
La cosa più importante sono le persone e a volte occorre andare lontano per ricordare bene questa verità.
L'ho già scritto ma lo ripeto: occorre che torniamo a provare stupore nelle piccole cose!

W O' Brasil!

sabato, ottobre 25, 2014

Qualcosa su Roma

Mó oo sai che a mme er lavoro me piasce.. te o sai.. Peró mó me sto a scojonà!! Un giorno er toner bloccato, un altro er fax che nun funziona, na cosa n'artra mó me comincio a ffa deee domande! Si ffossi n'diriggente nun dormirei aa notte!! Só ssolo n'funzionario có determinate funzioni.. - (s'arza na voce) Ehmmó! sei n'direttore daaa cosa!! - certo!! Peró mó ce stanno i ddiriggenti che un ponno bloccacce.. - dolceee??!? Dolcino?! (prorompe il cammeriere, e il tavolo da 8, in coro, per tutta risposta) EMBÈ!!!!
Vellutata di nocciola tutta a vida!! Mó ce scofaniamo pure questa!! Tanto chessó.. Eeeh duequaranta.. Embè?!


Roma.

Interno. Pomeriggio. Location: Giggetto, Portico di Ottavia, Ghetto. Roma.

"Mó ammè ma mancano dieschanni paa pensione, mó na vorta a questo punto aveii finito de lavorá, mó come stamo messi ce tocca d'annà avanti!!"

Mi venga un colpo se ho capito dove sono impiegati questi 8 che ho di fianco a pranzo, con età tra 45 e 60 anni, so solo che non lo nominamo mai il posto in cui lavorano.
Di contro peró alcuni altri interessanti termini: ragioneria, centrale acquisti, ufficio permessi, permessi speciali, inpdad, rappresentanze, ritardi, assenteismo, selezione, concorso tagliato su misura, piano assunzione diriggenti, mobilità, rivalutazioni, scorrimento graduatorie, inps, accantonamento, diritti stabbiliti, negozziazzione, stadio nuovo della Roma, delibbera, mó quant'effiga a nuova ingegneressa.

Ma facciamo un passo indietro. Ore 10,20 arrivo alla stazione Termini

Ancora in stazione decido di prendere un caffé e mi reco in un bel bar di quelli profondi e con i banconi neri. Impossibile rispondere a un sms sul telefono: la gente in coda per lo scontrino passa avanti da ogni lato e in tutti i modi. Occorre spingere e allargare i gomiti!
Coda lunghissima: il cassiere è al telefono e si dilunga sfottendo sulla Roma e sulla Lazio.
Al banco, un secolo per avere il caffé e non come lo avevo richiesto, domandando per favore.
Prendo la metro e faccio le scale: quelle mobili sono rotte sia a salire che a scendere.
Arrivo alla guardiola della sede del Ministero dello Sviluppo Economico e nessuno mi guarda perché i due carabinieri sono impegnati sul loro smartphone a battere il record di qualche videogioco.
Alla porta, suono (giuro suono!) ma nulla: la usciere che dà il badge (e apre porte) chissá dov'è. Arriva giustificandosi e lamentandosi.

Riunione: nessuno ricorda della mia email di due giorni prima, pare sia un problema fare 4 fotocopie, il dirigente é stato trattenuto in un meeting improvviso, le poche considerazioni dei due pellegrini di fronte a me sono del tutto strampalate.
Però si lamentano benissimo: che sono pochi, che lavorano troppo, che hanno risorse scarse, che non nutrono di adeguata considerazione.
Esco e la usciere (la stessa di prima) che mi deve consegnare il documento di identitá non c'è. Avrà il diritto di andare al bagno pure lei, mi apostrofa mentre arriva con tutta calma.
Vado verso la metro e tutto é sciatto: arredi alla stazione divelti, accattoni ovunque, sporco, vagoni imbrattati, annunci incomprensibili.

Torno al centro, scendo al Circo Massimo e cammino col naso all'insù fino al Ghetto, in preda alla solita Sindrome di Stendhal. Come fanno a lavorare questi? Con che crudeltà glielo chiediamo?
Leggo annunci immobiliari con valori che forse solo a Londra vengono equiparati, noto moto costosissime, suv ovunque, bar e ristoranti pieni. Roma.


Ordino carciofi alla giudea e bucatini alla amatriciana e ascolto questa commedia dell'arte in scena al tavolo a fianco. Penso che Roma non sará mai un posto normale. Davvero: o la chiudiamo come un museo o ce la teniamo cosi.


Per la cronaca: era il pranzo per salutare uno di questi funzionari che andava in pensione. Chissá che stanco che sarà stato dopo secoli di duro lavoro. Mica ho capito per quale ente fossero impiegati. Ho capito peró che avevano tante cose per cui lamentarsi.

Fuori, un fiume di gente che inondava come ogni giorno Roma. Mi si é rivelata in tutta la sua meraviglia la perfetta definizione di "città eterna" per questo luogo.

Riforme? No, Roma.


martedì, ottobre 21, 2014

London means energy London means everything

Sono tornato a Londra la settimana scorsa, terza volta per me quest'anno e forse non è finita nel 2014.
Naturalmente ai due giorni di business ho sommato 2 giorni di incontri miei, osservazioni, esplorazioni. Due giorni per vedere amici, amiche, conoscenti che sta cosa qua lo so che ormai è forse fuori fuoco rispatto a quello che dovrei fare, ma a me continua a piacere. Ragazzi, mi piace.

Io tornerei indietro, ai vecchi post che ho scritto quando sono passato da là.. tornerei anche ad ascoltare quella grande sega che è stata Dromomania, programma di Storytelling radio in un periodo fertilissimo della mia vita creativa, 4 anni fa. Tornerei ad ascoltare la puntata dove il malato di viaggio si reca a Londra, ma non mi serve. Me la ricordo ancora perfettamente.

Ricordo tutte le volte che sono venuto a Londra, tutte le cose che ho scritto su questa città, tutti i feeling che ho avuto, gli odori che ho respirato fossero quello di fumo sotterraneo nella Tube, di solvente nei grandi department stores appena puliti al mattino, di muffa nei vecchi record shop, di piscio girando certi angoli dietro pub che ormai non ci sono più, di erba bagnata attraversando Hyde Park.
E poi mi ricordo tutte le sinapsi che mi ha aperto Londra: la southbank che mi rimandava alla mente l'inizio di "4 matrimoni e un funerale; lo scalpitio di zoccoli di cavallo che mi ributtava al piazzale davanti al vecchio Stamford Bridge, a vedere Chelsea-Arsenal rigorosamente al sabato pomeriggio; quel ragazzo che calcia una lattina fuori da una fermata di metro della Hammersmith appena parte "She's elettric" e tutto un lavoro così.
E i suoni, tutte le canzoni di Londra, tutti gli atterraggi in aereo, tutti i viaggi in metro con le cuffie nelle orecchie e via di Pink Floyd e Bowie, Clapton e gli Stones, Massive Attack e Portishead, Wham e Queen, Clash e Jamiroquai e Amy Winehouse perchè Londra più di ogni altro posto al mondo è LA musica, tutta la musica, tutti i suoni.

Però poi Londra è energia, ancora una volta, velocità. E sorpresa.
Energia significa la hostess che ti sorride aperta e ti dà una pacca sulla spalla mentre ti saluta; è la receptionist che ci mette passione nel raccontarti le 4 banalità del suo lavoro; sono i milioni di italiani che sorridenti occupano tutti i bar ristoranti tavole calde e catene di cibo delle zone 1, 2 e 3 di Londra; sono le francesine strafiche che camminano sulle punte lungo Kensington, è Gianlu che ti vuole vedere anche se non ha tempo e si attacca a facebook per fissare un appuntamento e ti viene a prendere alla fermata della metro, è Lucia che non sarà a Londra in quei giorni ma ti manda qualche suggerimento sempre azzeccato, è Margherita che nella sua semplicità mista a serenità si muove precisa tra case da acquistare e reparti maternità, tra fiere del caffè e concerti alla Royal Albert Hall; l'energia di Londra è Silvia che due settimane prima tenta di prenotare all'Esperimental Cocktail Club e lo trova esaurito ma non si prede d'animo e ne scopre un altro quasi migliore; sono i doorman all'Intercontinental di Park Lane, le donne in carriera che spingono dentro la Tube, i kuwaitiani che chattano allo smartphone mentre sorseggianio un tea in un Café Nero, un compleanno improvvisato in un bar kitch di Regent Street, le spagnolite che in gruppo camminano e charlano lungo Portobello Road, le old ladies con berrettino a elica perse a Belgravia che, con un accento pescato con la macchina del tempo, ti chiedono dove sia Crescent Park o Garden o Lane o chissachè.

Velocità significa corsa alla casa: trovarla in affitto, migliorarla, cambiarla, comprarla, aprire un mutuo per lei, convocare un solicitor, rivalutarla, passare il sabato a vederne 4 nuove "di scorta", se non venisse accettata l'offerta per quella scelta. Velocità significa fissare 5 appuntamenti lungo la giornata e durante il quarto parlare del giorno dopo e pensare a ieri, segnarsi il nome di un contatto, di un ristorante, di un sito, di una app, di un libro, un suono, un sogno, un taglio di occhi.
Londra va veloce, e vecchi ricordi liquidi si sovrappongono a quelli presenti e già invercchiati, in un effetto saudade che proietta il te ventenne nelle domande del te quarantenne che sa che ce la farebbe ancora, se decidesse di muovere qui, ma che il sogno non esiste e allora per cavarsi l'astinenza di dosso basta comprare il Guardian lungo Cromwell Road, pedalare con le Borisbikes fino a Portobello e poi da lì, dietro le ville di Holland Gardens, fino a Marylebone e Baker Street e poi su oltre Hampstead heats e chissà dove, senza pensare perchè Londra è veloce, al massimo fermandosi a catturare quel suono con Shazam, perchè Londra è un suono.

Sorpresa significa Harrison Ford vicino di tavolo e quasi non darsene caso, ridacchiando appena con la cameriera aragonés sul drink che si sta bevendo; poi significa una nuova città a est che si è innestata su quella che conoscevi e ne ha creata un'altra, un flavour nuovo ancora che sembra quasi di andare in vacanza se per una sera o una vita si decide di essere uno di loro; infine significa prendere un taxi con la furia addosso e ritrovarsi a parlare in spagnolo con la conducente che è una cilena simpaticissima e scoprire che sta con un tipo del Bangladesh conosciuto durante una vacanza a Londra che è diventato l'uomo della sua vita. Storie di Londra: sei mesi a guidare un cab nero lungo le strade della City of Westminster, sei mesi a descansarse nelle foreste dell'entroterra di laggiù, un posto oltre l'India dove forse prima di lei un cileno non aveva mai messo piede.
La mia curiosità e lo spirito da sociologo da 4 soldi fa sì che le chieda: ti sembra felice la gente qui a Londra? macché, fa lei, vanno tutti di corsa e si dimenticano di vivere!
E chi lo sa, qual'è l'essenza di vivere qui. Forse correre, forse inseguire i propri miti. Forse stringere la mano a David Nicholls (Apple Store di Regent Street, la domenica). Forse parlare in inglese con una ragazza italiana seduta accanto alla fila 7 sul volo BA al rientro. Forse non pensarci più, specchiarsi negli occhi di chi ha fatto certe scelte, incamerare l'impeto di energia quanto più a lungo possibile, invidiarli ma solo un pò e continuare a fare, che il tempo rimasto è ormai poco.
Londra significa energia, ma Londra significa tutto.
Bello viaggiare, bello fermarsi, magari.
Bello pensare all'idea di casa e sognarne una, un giorno.




mercoledì, ottobre 08, 2014

Lasciatemi cantare

Izmir. E non dico Istanbul, dico Izmir. Istanbul è 15 o 20 milioni di persone e il quartiere-sogno di Bebék, tradizione e folla ovunque, alcool (forse) vietato la sera e minigonne, orizzonti mozzafiato al tramonto e grattacieli a perdita d'occhio, gente che va di corsa e ingorghi, stipendi da 5 o 10 mila euro al mese e 2 milioni di siriani profughi che cercano un'esistenza, bar meravigliosi con terrazze all'aperto che allietano i giovani con brani di Celentano e navi cargo che solcano il Bosforo da sud a nord, oppure sostano a decine nella grande insenatura che si apre sotto il Topkapi. Baklava, vecchi che fumano, ragazzine col cane che sembra la Marina di San Francisco, thé e caffé turco, scorci di mare e di colline, odore di soldi e hotel di super lusso fatti apposta per gli emiri che vengono a pizzicare l'Europa, centri commerciali e fiere, il faccione barbuto di Prandelli e quello meraviglioso di Elcin che esce a cena con me solo perché così "tiene allenato il suo italiano", gatti tra le viuzze di Fatih e ragazze sempre più occidentali quindi belle: un incrocio di razze, una prospettiva diversa sul mondo a 2 ore da casa. 
Izmir è distante un pomeriggio in macchina. 4 milioni di abitanti, Efeso e Cesme come gite fuori porta, paradiso per coloro che (rispettivamente) non possono stare senza arte e archeologia, vela e kite surf.
Una città adagiata su una baia fatta a C rovesciata, immaginate di simulare una C rovesciata con la mano destra: ecco, quella è la baia e Izmir sorge proprio lì, nell'incavo tra pollice e indice.
C'è un lungomare di 5, forse 6 chilometri e io ero lì per lavoro e, nonostante le bestemmie, devo dire grazie azienda che, per lo meno, in questi anni mi ha fatto scoprire quanto il mondo sia grande e diverso, come gli affari possano essere conclusi in molti diversi modi, come ci si possa capire al volo senza parlare una parola della lingua dell'interlocutore.
In questo lungomare, la sera 200, forse 300 ristoranti a fianco del seafront sempre pieni offrono branzino e pesce spada, frutti di mare e pistacchi, mezze e baklava. Tutto un lavoro così.
Di giorno organizziamo il nostro business lunch, poi il pomeriggio un pò di lavoro in camera con vista mare e al tramonto alzo lo sguardo e vedo che sì, davvero, il sole cade sul mare esattamente nella parte aperta della baia, lo spazio tra il pollice e l'indice della vostra C della mano. Scendo e faccio questa foto, nessun effetto mi sono solo inginocchiato. 
Parlassi un minimo di turco, non tornerei più indietro. 

E come me direi che l'hanno pensata in tanti perchè in due sere di passeggiata e ristorante ho sentito parlare francese e tedesco, arabo e naturalmente italiano.
Mi infilo le sneakers e mi faccio una corsa di iodio come neanche in Sardegna due mesi fa, davvero una libidine.
Poi a cena organizzando business futuri, aziendali e personali, quando d'improvviso arriva un venditore di accendini che qui allarga la sua mercanzia a velieri in legno e sigari, mi si avvicina inquisitivo e mi chiede se prendo qualcosa. Alla mia risposta, si allarga un sorriso. Mi riconosce subito: "italiano? Lasciatemi cantaaaareee..... sono un italiano vero!".
Boh, non chiedetemi perchè, ma mi sono sentito non dico orgoglioso, ma quasi. Sempre storia, sempre testa girata al passato, sempre cose un pò di merda ma cazzo se c'era un rumeno seduto al posto mio, che gli cantava il vu cumprà?
Come dice Tolga: "Hey man, being italian still means something!"

Andate in Turchia, trovate un motivo e andateci

mercoledì, settembre 24, 2014

La risposta sta sempre negli altri

Vivo a Bologna da oltre un anno e mezzo e mi sono resoconto anche io, tra una trasferta e l’altra, che non è più lei.
Qualche uscita con amici storici e qualche altra con amici recenti ha tentato di offrirmi un giudizio più lieve, ma erano solo serate di balsamo sulla scure della bocciatura.

Voglio dire: Bologna rimane interessante, ti offre l’opportunità di conoscere gente interessante e talentuosa, ma ormai è un luogo dove prevale inevitabilmente sporcizia, degrado, brutture e se non stai attento, banalità. Di luoghi e di persone.
Forse il mio giudizio sarà determinato dal mio peregrinare che mi porta in luoghi più interessanti ma che sono capitali che non possono essere accostate a Bologna, ma cazzo la sofferenza c’è, la tocchi.
La gente si accontenta, bighellona. I posti nuovi magari sono fantasiosi, ma poveri. Quelli belli sono ormai appassiti e fuori tempo. La città non ha mai avuto una grande anima ma ora è alla mercé del primo che passa. E’ una tensione continua tra chi ci prova a cambiare le cose (le Social Streets, Kilowatt, la Cineteca) e chi si erge comitato per ostacolarle. Come fare?

E’ con questi pensieri che mi affollano la testa che esco per incontrare il mio amico Saverio, un tipico prodotto della sottocultura bolognese del tempo che fu e quindi un individuo splendido, pieno di idee e di positività e un pochettino senza rotta. Si parla di progetti inquinati, si fanno progetti nuovi, si fanno presentazioni lungo un via vai di gente che passa che conosce solo me, o solo lui.
Ci si saluta dopo due ore e il rilancio di nuovi progetti, con sempre al centro quella positività e la voglia di muovere il culo, pur in un contesto sempre più lassista e complicato.
Ma quando è cominciato questo processo di passion drain? boh!

Sono solo le 21 e allora rispondo a un sms arrivatomi un po' prima e raggiungo questa amica che è anche collega, un po' apolide un po' ancora alla scoperta in cui butta il suo frugale stipendio, perché lei a Bologna ci è arrivata per lavoro (a proposito, di lavoro per rimanere poveri ne parlerò presto).
La raggiungo e in realtà sono 4 e tranne le presentazioni le altre non me le filo un granché (ma va?) e rimango fitto a parlare di vacanze e rientro al lavoro veloce viaggio a Mosca e di come facciamo con la mia amica.
Viene il momento di andarsene dal locale in cui siamo (super attivo culturalmente ma adornato da pochi oggetti di riciclo del tempo che fu: un tipico bolognese!) poiché, vengo informato, due delle sue 3 amiche (conosciute con blablacar - ci sarebbe da scriverne un libro) il giorno dopo devono partire presto perché “lasciano Bologna”.
Due salutano e si allontanano appena fuori il locale, la mia amica ha la macchina parcheggiata lontana e allora mi offro di accompagnarla e l’altra ragazza è di strada e viene con noi. E comincia la mia curiosità.
Di dove sei? Cosa fai? Perché te ne vai? Quando hai preso la decisione? Come si fa a prendere una decisione del genere? (niente da fare, avrei dovuto fare il giornalista no way! anzi, sono ancora in tempo!!).

Lei attaca a parlare, molto spigliata e con una faccia simpatica ma soprattutto con dei fuseaux neri attillatissimi e le gambe lunghe e le Superga ai piedi, non la fisso in basso solo perché noto - per la prima volta, giuro! - i suoi bellissimi capelli biondi. Lei prosegue a parlare, a macchinetta, e in 3 minuti e 27 secondi netti mi risponde a tutte le domande, mi tratteggia il suo passato - presente - futuro, mi dà il giudizio definitivo su Bologna e sull’Italia e al contempo, continua a giocare con i suoi boccoli biondi, ad ancheggiare su quelle gambe flessuosissime e ad ammiccare pure con i suoi occhi (blu? sono forse blu?! non li vedo bene… è un quarto all’una).

La mia amica, fino ad allora la sola con cui avevo colloquiato lungo la serata, diventa silenziosa e si defila di fianco, ascoltando e cercando di capire cosa stia succedendo.
Camminiamo per qualche minuto, lei sempre con il pallino della parola in mano ed io a controbattere, fino a che non arriviamo al punto in cui dovremmo separarci e lì ci fermiamo, assumendo questa chiara posizione che le teorie sulla pnl spiegherebbero in modo estremamente chiaro: io di fronte a lei, lei di fronte a me con le mani sui fianchi, la mia/sua amica di fianco a me.
A quel punto il quadro per un attimo si inverte, perché dacché prima l’avessi guardata solo in viso, addirittura l’avessi guardata solo nelle parole oserei dire, attacco a fare l’inverso.
Le osservo i capelli, la linea del collo, le tette enormi (veramente enormi!), il sorrisino inquisitivo stile Monnalisa, l’ancheggiare furetto, le lunghe gambe avvolte nei fuseaux neri, le mani che da buona italiana volteggiano sempre nell’aria, l’occhietto calmo e sereno. E penso: ma guarda che bella figa, vedi cosa ti regala Bologna?

Però, contrariamente a quanto avviene di solito in questi casi, non interrompo di ascoltare quel che sta dicendo, perché è ancora più strampalato e affascinante di lei. Questa vive qui, viene dal mare del nord ovest, lavora (anche se certo non si esalta per quel che fa, ma è un dolore comune) e decide “dopo un anno di pensieri e ripensamenti” di mollare tutto. Ancora una che molla tutto? Sì, ancora una.
Ma fa una cosa diversa: va a studiare in Spagna, 5 anni di studio la attendono in una città di mare ed economica, dove se non hai pretese con due anni del mio stipendio ti compri una casa.
non ho capito se con il moroso o no, ma il progetto sembra ben assettato (“il primo anno poi prenderò anche la disoccupazione..”) e il suo sguardo cosciente e rilassato. 
Le chiedo cosa le mancherà di Bologna, lei che tra studio e lavoro c’è rimasta sette anni, e lei di rimando dice “ma sai? credo nulla. Bologna è una città che attrae gente dai paesini del sud, dunque è una accozzaglia di gente di provincia del sud, ormai offre assai poco di più” e d’un tratto penso che io, considerato attento conoscitore dei fenomeni sociologici, non ci ho mai pensato a questo. Non ci ho mai pensato, no, ma al contempo rifletto e di dico che sta biondina gettona c’ha davvero ragione, ha letto la realtà assai meglio di me. Mi sento d’un tratto nel posto sbagliato nel mio momento adatto.

Scrivo alla mia amica giornalista sulla cronaca locale e le dico che questi sono i fenomeni nuovi da descrivere: un tempo la gente arrivava carica di aspettative, non solo dai paeselli del sud ma da un pò tutta l’Italia e creava quell’atmosfera che era propria di questa città, mentre ora se ne va disillusa e senza regrets. Lei mi dice che darebbero trovate altre storie, ma che sì, ora le cose stanno così, e che in fondo storie del genere ne conosce parecchie anche lei.

Sto post l’ho titolato “la risposta sta sempre negli altri” ma non so il motivo per cui l’ho fatto, perché di risposte quella sera non ne ho trovate davvero.


Anzi, a dir la verità una sì, l’ho trovata. Hai un bel da dire che ti piacciono le tette piccole, che la figura della donna così è più armonica etc etc.. la verità è che le tette grandi sono ancora il più grande anestetico sulla faccia della terra, come le sirene di Omero!

sabato, agosto 30, 2014

100 giorni o giù di lì

No dai cazzo, non è possibile... Come possono essere passati 100 giorni in 10 minuti?
Se qualcuno sa il trucco, me lo spieghi! Qui ci vedo sotto una puzza di fregatura che... Boh!
Anyway, 100 giorni di estate non estate, di viaggi e di weekend nei panni altrui, di camminate e cene e chiacchiere e lavoro e idee. Tante idee. Ah non c'é niente da fare, mi piacciono le idee e mi piace fantasticare.
Viaggi: Dubai e Londra mi hanno confermato che le alternative ci sono e chi é in crisi ma ha un minimo di sacro fuoco ci mette il sacrificio e la fantasia, Parigi mi ha confermato che é un pò bloccata, la Via Francigena che l'Italia e camminare sono bellissime cose, e degli amici non ci si stanca mai.
La vela ha proseguito la sua incisione nel mio cuore e la Sardegna mi si é scoperta in tutta la sua bellezza, più nascosta e più incantevole.
Ho ballato per i concerti in piazza, ho scritto un business Planning, ho detto non dico ti amo ma ma mi piaci.
Ho fatto un lungo giro in moto con la borsa nel portapacchi epoi ho deciso di venderla perchè dall'amore all'affetto mi pare un salto troppo grande. E poi devo alimentare la mia nuova start up di cui parlerò!

Un giorno un amico ha fatto un salto da un cavallo e quindi un volo in elicottero, poi l'hanno fatto dormire per un pò.
Ci ha regalato un weekend a fumare sulle scale antincendio come fossimo ancora al liceo, e tanta tanta apprensione e paura.
C'è l'abbiamo ancora, ce l'abbiamo... ma in cuor mio so che andrá bene per la sua enorme tenacia e per quelle colonne al suo fianco che si ritrova, E e la mamma M.

Un altro amico dopo non avermi chiamato più per mesi, ho scoperto tristemente il perché... non un motivo bello, qualcosa che lascerá tracce indelebili ma che vede della vita davanti. Forza! Lo ringrazio per avermelo voluto dire di persona, rompendo le pessime abitudini dei post precedenti.

Ho conosciuto gran belle persone in Sardegna, gente che lotta e che sorride e che merita tutto il mio rispetto e che vorrò rivedere.

Di recente, sono ripassato da Amsterdam venendo a sapere che i mentor sono in attesa e sempre piú Iron e battaglieri, che amici cari si adattano alla pioggia e al muschio delle scarpe e mai tornerebbero indietro, che la cittá accoglierebbe anche me e, grazie a Lisa, che ormai non conta piú il curriculum, contano network e self branding e quello occorre far uscire per migliorare o virare (ne parlerò poi e vi ricrederete, miscredenti!!).

Altre notizie belle, neutre, tenui, brutte vissute con coraggio, distratte, pessime... ma la barra è sempre in mano salda, pronta a virare per vento migliore, aiutare un amico, lasciare le vele e godersela. Vela, grande scuola di vita.

Infine, arrivo a Mosca e in una folle cena in centro scopro che esistono stanze in affitto a 800 euro, che nelle separazioni di norma il papá si dimentica di aver avuto una famiglia, che i russi sono più furbi degli italiani (avete mai sentito dire di "contratti" di agente e fidanzamento tra imprenditore italiano e agente/fidanzata russa, per pagare meno tasse e avere compagnia a letto nello stesso tempo? Beh, a Mosca esiste!).
Poi ho sapuro che i russi pensano degli americani quello che gli europei pensano dei russi. E che I ragazzi moscoviti amano stare in casa cosí le ragazze indossano tacchi a spillo e mini ed escono tra loro perché amano farsi vedere... che mondo!

sabato, maggio 10, 2014

come arrivano le notizie oggi

Non scrivo da un casino.
Riprendo per dire che insomma sono un pò giù.
Di quei "un pò giù" del cazzo, quelli che magari incontro le persone giuste stasera e già cambio umore, ma insomma sono un pò giù adesso e mi gira il cazzo.
La vera ragione per cui sono un pò giù è in realtà doppia: non riesco a creare una rotta come dico io, chiara precisa e poi perchè non si apprendono più le notizie di persona, ma con quei nuovi mezzi di comunicazione del cazzo dei quali sono drogato anche io.

In pratica, sto disattendendo su tutta la linea il mio post programmatico di qualche mese fa e questo mi fa incazzare, perchè la risposta è sempre nel fare. Avevo preso una bella marcia fino a fine marzo, poi aprile dolce dormire di merda mi ha rallentato, e questo non va per niente bene in quest'anno catartico che mi porterà a chiudere un decennio e aprirne un altro. Ma c'è tempo per recuperare.
C'è sempre, quando hai una bella mappa tracciata sotto mano. Dai, me la devo fare. Tutti quelli bravi e interessanti con cui mi circondo mi possono aiutare, questo sì, ma la mappa è sempre la mia e devo disegnarne un altro pezzo, la storia del mio film lo richiede e tra l'latro è una cosa che mi è sempre piaciuto fare, per cui concludo che mi lascio cullare dalla mia (bella) vita perchè sono un pigro di merda, quindi fanculo dai!
Che magari è anche qualcosa in più, ma non riesco di certo a "leggerlo" e di sicuro ha a che fare con piccoli multipli cambiamenti attorno a me e che riguardano me con i quali litigo sempre, sempre un pò fregato dal mio idealismo che mi fa riflettere anche sulla macchina da cambiare, chi mi frega quanto consuma quanto inquina e tutte quelle menate lì. Che è giusto farsele, poi si passa all'azione però.
Side effect di questa mancanza di rotta di lungo periodo è che non riesco a programmare i viaggi, nè quelli di lavoro (per causa non mia, ma non rompo il cazzo per cambiare le cose) nè quelli privati che potrei ricavarne o pianificare da zero. E di solito quella è un'altra cartina al tornasole.
Poi c'è il tema lavoro che forse sarebbe davvero ora di cambiare, il mio ciclo è finito e l'energia si rinnova solo con il nuovo e quelle menate lì ma pure lì mi blocco: ci vuole tanta energia e self confidence: niente sono in riserva con entrambe. Avanti.

Poi c'è che ieri sono stato informato su due importanti novità di persone che mi conoscono: una con la quale ho passato a stretto contatto 5 anni di quotidiano ha forse scelto definitivamente altre strade, che è una cosa bella per lei. L'altra mi ha confessato cose su di sé che sapeva da tanto ma che non riusciva a digerire, ed è certamente una gran cosa bella per lui.
Le ho sapute una via facebook, una via whats'app e c'è sempre quel senso di impotenza e di mancanza di contatto in quel modo di apprendere le cose che lascia un pò così, smaronati.
Ho pensato che avrei voluto sorridere loro, dirgli "alla grande comunque!!" con la mia voce, magari abbracciarle e prenderci da bere. I nuovi mezzi di comunicazione e internet hanno reso il mondo un mondo una tavola piatta e liscia, ma cazzo ci rendono aridi. Il contatto sarà sempre fondamentale nei rapporti tra le persone, se solo ripenso ai miei giorni a Istanbul e come ci si conosca attraverso lunghe giornate passate insieme, anche per stabilire rapporti di lavoro, ne trovo una immediata conferma.
Anyway, in bocca al lupo E. e M. queste parole sono per voi! M. spero che ora mi chiamerai Manu, ormai siamo amici! E. il mondo si divide solo in stronzi e amici, non vedo altre differenze. Good luck.

Poi sono andato a una partita di calcio e ho visto il peggio di quanto può essere teatralizzato e drammaticizzato uno sport, che è divertimento passione e stare insieme. Due anni fa scrivevo questo post e tra le cose che "mi mancano" nel periodo di vita che mi resta, c'era quella di andare ancora qualche volta allo stadio con mio padre. Beh una finale insieme non so se ci sarà offerto ancora di vederla. A me dispiace perchè ci avete rovinato una giornata speciale, tutto qua. Non solo col le sparatorie e i ritardi, ma anche con ingressi che sembravano pollai, ritardi, gendarmi irriverenti solo con noi, disorganizzazione ovunque. Il sogno lo teniamo legato per noi, non per voi.

Dai che presto torno simpatico, ho da scrivere di come stiamo diventando tedeschi, di genitori che festeggiano 50 anni e ancora va tutto bene, di mentori che non vendono bici ma li vedo felici, di dolore e contegno, di uscite geniali, di bimbi appena nati, di amici che non chiamano più, di Londra e di Amsterdam, di Parigi e di Buenos Aires.
Di amiche che tornano e altre che itinerano. Di gente che ride sempre e tu la vuoi sempre vedere.
Del Dr. Pirani che è sempre lui, individualista e colui che realizza i tuoi sogni in un sol colpo.

Fermarsi guardarsi attorno per poi ripartire è essenziale.

giovedì, febbraio 20, 2014

mi sorridi #difronte

Pomeriggio quasi sera di gennaio, quell'aria pungente ma stranamente piacevole che sanno avere le quasi sere di metà gennaio, io - trafelato come sempre - tra i miei pensieri ti raggiungo, camminiamo verso il solito bar ecochic dove passano un pò tutti quelli che piacciono, ma a cui non interessa "contare". Perchè sono trasversali, o chissà perchè.

Ti guardo dritta negli occhi per un secondo, che sembra che stia succedere chissàche e invece non succede mai niente, e poi ti ascolto dirmi che "prima o poi bisogna scegliere".

Eh già, cara amica mia. Prima o poi, bisogna scegliere.

Poi vado a cena: ci sono queste due che bisogna parlare di cose serie e poi magari ci si scioglie e si finisce per lascare un pò la randa e prendere quel refolo da ponente, se ci si tranquillizza.
Lei mi guarda di traverso, che lo so che c'ha tutta un'esistenza sulla schiena, cose di cui so poco in realtà e non voglio nemmeno sapere.. però lei mi guarda un pò languida, allunga quelle mani lunghe da adolescente e continua a toccarsi i capelli e versarmi del vino, e io penso: ecco, potrebbe essere così.

Potrebbe essere così che scollino, supero quella piccola ulteriore salitella, quello strappo e vedo cosa c'è dopo, se mi si para davanti la cima Coppi oppure parte un dolce declivio.

Te lo vorrei succhiare e leccare quel collo, finchè non si consuma, altrochè.

Poi vado lontano in treno e finisco in quel posto lì, quello di fronte, e tu leggi Monocle e mi sorridi #difronte ed io che di nuovo "ecco!!" ma allora è una coincidenza seriale o cosa? Mi sorridi di nuovo, attacchi bottone, mi chiedi se voglio qualcosa al bar... si può dire che flirtiamo?
E qui? Dopo questo scollinamento, cosa ci sarebbe? Una cima Coppi, o un dolce declivio?
O addirittura una discesa a rotta di collo, di quelle in cui chi si lascia andare senza saper fare perfettamente poi scivola e sbatte la testa contro una pietra a bordo strada? Non so, davvero.

Poi ci sei tu, che parli una lingua straniera in una terra straniera, che mi parli a lungo poi rimani ad ascoltarmi, #difronte. Sì, poi sorridi, anche tu: anzi ridiamo di gusto tutti e due e lo so che stai pensando a chissà cos'altro, chi altro, dov'altro. Anche io lo sto facendo, sai?!
Però poi siamo in metro, tu sei un pò inclinata rispetto a me e d'improvviso muovi il collo in quel gesto sensualissimo e femminile, e pare che le tue labbra siano più rosse che mai e te le vengo ad assaggiare, non c'è nient'altro che possa fare ora, mentre ognuno si porta dietro il fardello delle proprie vite.
Cosa credi, che non lo so?

E poi ci sei tu, con quel maglioncino a V che fa vedere un pò di divertimento e infatti ridiamo un casino.. cosa cazzo avrà da ridere questa?

Ma forse questa è già un'altra storia che vi racconto la prossima volta, ok?
Si vede, vero? che ieri ho ascoltato la puntata di Matteo Caccia su Voi Siete Qui, Radio 24, in cui si parlava di una copy che come secondo lavoro scriveva storie per "Le Ore"?

Giuro che mi sedo, buonanotte!!