lunedì, luglio 30, 2012

Gorriti cruzando Fitz Roy, un set

Del mio nuovo soggiorno sudamericano non ho tanto da dire, se non qualche fluida sensazione.
Questi non sono paesi, sono subcontinenti, e quindi vi potete immaginare quanto siano variabili, multiformi, sfaccettati, scaltri, eccitanti, a volte logorroici e se affrontati senza aver studiato anche un tantinino noiosi questi due paesoni che rispondono al nome di Brasile e Argentina.
Che poi, badate bene, Brasile e Argentina sono due luoghi dell'anima innanzi tutto, le due facce della stessa medaglia oppure, visto che ci sono più similitudini che differenze tra di loro, la stessa faccia di due medaglie (citazione dottisisma, caffè pagato a chi la indovina).

Lo che sta frase è noiosa come come il palinsesto della RAI, ma mi tocca di ripeterla. Non sono stato in Brasile e Argentina, sono stato a San Paolo, Curitiba, Buenos Aires (e per una sfiga ho mancato per un pelo Cordoba). Lo capite bene che tre città non fanno 2 paesi, per cui vado di sensazioni induttive e bonalè, non state lì a scandalizzarvi o puntualizzare che tanto lo so anche io che ha poco senso.

Insomma io non lo so che idea avete in testa voi del Brasile, probabilmente quella giusta: nel senso che è legittimo associare attraverso facili luoghi comuni il paese dalla bandiera verdeoro al calcio, il samba, i culi, le spiagge, la naturaleza, il Corcovado, la foresta amazzonica, il carnevale e per finire una bella rapina con arma da fuoco.
Ecco, di ste cose ne ho (intra)viste forse una, e attraverso la tv. Immaginate quale! Per il resto, roba da indagine poliziesca.
Il Brasile di San Paolo è invece sinonimo di grattacieli, ristoranti di lusso, centri commerciali, pioggia, auto fuoriserie e tanta, tanta idea di ricchezza esibita oppure a rate, che sbuca un pò dovunque.
San Paolo è una città giovanissima, se paragonata alle nostre, così si dà tanto da fare: i ragazzi lavorano mentre studiano all'università, frequentano corsi di sera, rubano il lavoro ai sesantenni, vanno all'estero e tornano, esportano petrolio e aerei, vincono le gare per Olimpiadi e Mondiali di calcio e hanno probabilmente il miglior ufficio stampa del mondo: tutti ma proprio tutti parlano di loro, anche se i numeri dicono che la crescita è ormai pronta alla planata.

La segmentazione anzi diciamo bene la segregazione là non avviene per sesso (Dilma è a capo del goverso) nè per razza (la mezcla è una delle principali virtù e orgoglio nazionali) ma per censo. Quelli ricchissimi li chiamano Clase A, poi a seguire la Clase B, la C e la D. Pratiamente si sentono legittimati, i paulistanos perlomeno, quasi di domandarselo a quale categoria appartenga l'interlocutore, e se proprio non lo domandano apertamente lo intuiscono in un baleno, solo vagheggiando su quale sia il centro commerciale in cui si recano con più frequenza, visto che anche questi ultimi sono caratterizzati da una lettera di appartenenza, indicando quale sia il loro target group.
Un pò diverso da un colpo di tacco o una samba, vero?

La gente, cazzo, va veloce. E' in fondo educata alla guida, pochi colpi di clacson e slalom impertinenti soprattutto se si pensa in che formicaio tocca muoversi, e tanta tanta pazienza ai semafori per loro. Ho visto con i miei occhi una delle arterie principali, la Avenida Ibirapuera, piena di macchine sfreccianti verso il downtown già alle 7,10 della mattina, e vedeste con che ritmo!
Qui traspaiono belli forti questi valori, uniti a una certa sicurezza in sè e una fiducia nel futuro che probabilmente è la mediana tra il carattere intrinseco di questo popolo, così aperto alla vita e alla socialità, mescolato con oggettive e ponderate analisi dei trend macroeconomici e alle recenti scoperte di nuove fortune nel sottosuolo che saranno estratte e vendute, dal petrolio a numerosi minerali rari.

Insomma.. il nuovo mondo!

E dell'Argentina ve ne potrei davvero raccontare a dozzine: dai boutique hotel di design al traffico; dal peronismo che ora si declina in Cristinismo alla nazionalizzazione delle imprese; dallo spirito porteno furbissimo che fa essere il cameriere adulatore per quei 3 infiniti secondi che vanno dal primo sorriso all'estrazione della penna e annotazione sul notes dell'ordine, per poi degenerare sullo stronzo andante, incapace della benchè minima attenzione fino alla gran quantità di belle ragazze in giro, tutte con questo look simile, ossia detrminato dai geni italiani, spagnoli e inglesi ben shakerati e arricchiti dal più bell'accento del mondo, sensualismo allo stato puro se esercitato da una donna dalle belle labbra. Il porteno, quella jjjhh trascinata che fa davvero arrapare, non c'è bisogno che a farne uso sia Belen (nota bene: non ho detto che a Buenos Aires, nemmeno a Recoleta, Palermo Soho o Puerto Madero, tutte le ragazze sembrano la sorellina di Belen. Ho detto che ce ne sono in quantità di carine, vestite (ahimè..) con gusti, con culetti piccoli, chiome fluenti e voce roca ed impastata.... poi vedetevela voi e non mi tirate dentro questa storia, ok?!

Dicevo: di storie potrei raccontarvene diverse, ma ciò che davvero mi è rimasto impresso è questo momento pprofondamente cinematografico all'incrocio tra le vie Gorriti e Fitz Roy.
Uno spaccato aderente degli stereotipi e dei quartieri animati di Baires.. ma anche un ambientazione così assurda che si è portati a pensare che sia un set cinematografico.

Scena: esterno notte. Cielo terso, stelle in cielo e un'aria limpida che sembra quasi di essere in un'ambiente ricostruito in studio, ma non è così.
Io me la giro a piedi da solo, questa megalopoli in cui vorrei comprare casa e forse lo farò, non appena sarà possibile. Che poi non è mai possibile, quindi è sempre possibile.

Dicevo.. quartiere Palermo Hollywood, all'incrocio tra le vie Gorridi e Fitz Roy. Immaginate per un attimo che il tempo si fermi, e solo io rimanga in moto, un effetto come se fosse il film "Matrix".
Luce dei lampioni che si riflette sui parabrezza delle macchine e sulle piccole pozze d'acqua del sistema di pulitura delle strade; luccicore del pavé della carreggiata e, in lontananza, due taxi neri in arrivo costeggiano lentamente il marciapiede, con la scritta luminescente LIBRE bella evidente.
Su un angolo dell'incrocio, sotto un Platano, due innamorati si scambiano effusioni e un lungo bacio appassionato, che quasi sento il rumore e lo scivolare delle lingue, una cosa che - rifletto - non si vede con la stessa passione e frequenza in Europa. Non è un bacio camminando, è un lungo piano sequenza di loro che rimangono fermi, le mani che si allungano e le lingue che roteano... sul secondo angolo c'è una macchina, una BMW degli anni '80 forse, che giace appoggiata su due cavalletti di sostegno, visto che è stata privata dei 4 pneumatici. A fianco, la carcassa di un'auto molto più vecchia, una sorta di 128, cui il tempo e l'inutilizzo (e chissà che altro) l'hanno ridotta senza vetri e con solo brandelli di vernice. A un passo, un barbone suona un'armonica.

Sul terzo angolo c'è un locale cool, di tendenza, con luci al neon cangianti e una super figa che fa un pò da buttadentro: una sorta di hamburgheseria fusion, affollata di giovani alla moda; a fianco un locale jazz con alcune persone davanti, intente a fumare, qualcuno con bocchino.
Sul quarto e ultimo lato dell'incrocio-set, ovvero quello che si oppone al primo dei due amanti, un baraccio squallido con tavolini all'aperto. In uno di questi, 3 signori discutono animatamente fintantoché uno tira fuori dalla tasca una bustina bianca e la getta sul tavolo, puntando subito dopo al centro della strada e alzando un braccio: in 3 secondi sale su uno di quei taxi di sopra, che sgommando riparte.

Ecco, questo è un momento di banale straordinarietà a Buenos Aires: pur amandole, scusate ma credo che di fronte  certe scene ideali di naturale armonia e varietà urbana e sociale, non c'è Londra New York o Parigi che tengano.
Qui c'è il profumo dei momenti colorati, o qualcosa del genere.. che tanto lo avete capito no?

Ecco, avendo avuto scarso tempo e ancora minor spinta, credo che questo sia quanto di meglio lasciare ai posteri riguardo il mio ultimo viaggio in sudamerica, molto più del fatto - ad esempio - che il premier cinese, il compagno Hu Jintao, sembrava che seguisse i miei spostamenti e quindi prima me lo sono ritrovato in TV a stringere la mano a Dilma, poi a sorridere sornione accanto alla presidenta Cristina.
E vabbè.. by the way: vi starete domandando "e chissene!". Come no. Ma ora riflettete sul tempo passato dall'ultima volta che abbiamo ospitato il premier cinese in Italia. Ecco: quel numero è in diretta proporzione con la percentuale di rischio sul mantenimento della nostra occupazione nel Belpaese nei prossimi anni.

Catastrofico? Pensate a vela, curling, figa (e Olimpiadi!), va là!

Ringraziamenti speciali ai lettori che mi colgono di sorpresa e me lo dicono alle cene.
Che poi io penso: avrò scritto qualcosa di compromettente? .. e dopo tre secondi mi dimentico di essermi fatto questa domanda.

Grazie! Dai interagite qui sopra.. diventerà ancora più interessante!


photos: Emanuele Vicentini ©


giovedì, luglio 05, 2012

E venne la volta che vidi Bruce

Lo so, lo so.
"Andare ad un concerto di Bruce Springsteen (con il Ciccio)" non era tra l'elenco di cose che mi restano da fare, elencato nel post sotto. Ma è stato un errore mio: avrei dovuto scriverlo. 
In realtà fino ad allora non avrei mai pensato di scriverlo, ma a modo suo quello è stato un evento che ha determinato un "prima" e un "dopo" per mille e un motivi che cercherò di spiegare.
Partiamo dal presupposto che ho sempre considerato Springsteen un tipo forte ma che faceva musica non accattivante, non per i miei gusti. Lui stesso mi è sempre apparso un sempliciotto, un'espressione dell'America verace e burbera, pronta a reclamare il suo posto di leader nella storia ma piuttosto consapevolmente ignorante su tutto il resto.
La sua musica, tra chitarre, violini, piano e molto country e folk l'ho spesso trovata una nenia, tanto che fino a domenica le sue canzoni che più avevo chiare nella testa erano quelle iniettate di anni 80 e delle loro tastiere elettroniche e sintetizzatori, come "Borrn in The USA" e "Tunnel of Love".

Però qui la musica c'entra il giusto. E' qualcosa che, forse, ha più a che fare con il riconoscimento, l'appartenenza e la consapevolezza di ciò che si è. Domenica, allo stadio di Firenze che più volte ho raggiunto negli ultimi 20 anni, ho capito che Bruce Springsteen rappresenta un veicolo per tutto questo, un mezzo verso un percorso di redenzione a sè che si esprime in tanti, diversi modi. 

Partiamo con ordine: l'arrivo allo stadio e l'analisi del pubblico.
Eterogeneo, facce pulite, nessuna droga o birra di troppo. Età le più varie, dai 20 ai 60 e oltre, con un senso di evento sacro laico nelle pupille degli occhi e nelle mani giunte o sulla fronte, in attesa dell'ingresso della band e del Bruce. C'è chi aveva la bandiera al collo, chi aveva un bimbo al collo, chi il Manifesto in tasca, chi le patatine, chi chiedeva dell'Italia che giocava agli europei e chi baciava la moglie. Uno spaccato di società civile, a modo suo.

E poi loro, quelli sul palco: gente diretta e semplice, bravi professionisti super allenati e pronti ad andar dietro alla scaletta e alle innumerevoli estemporanee idee di Springsteen nate sul momento.
Poi lui: non so come spiegare, ma già all'ingresso un brivido di consapevolezza mi è sceso sottopelle. Questo non ha nulla da dimostrare, col le luci semplici e la maglietta nera addosso e la chitarra a tracollo. Questo qui ha un'energia speciale che trasmette anche in silenzio, con il semplice sorriso che mai ha perso nelle 4 ore successive.
Poi ha detto "Siete pronti Ferenze? Allora c'mon!" ed ha attaccato con tutta l'energia che aveva in corpo, cantando con la vena che gli gonfiava il collo come se fosse l'ultima canzone che mai avrebbe potuto cantare.
Non può andare avanti così, questo ho pensato. E invece l'ha fatto. Anzi molto di più: l'ha fatto sotto una pioggia sempre più torrenziale, sempre con quel sorriso stampato in faccia e con quell'energia e quella fiducia così pure come solo l'America può regalare.

Quell'energia che è propria del suo pubblico: dagli esperti ai nuovi, chiunque è scattato in piedi saltando e così è rimasto per oltre 3 ore e mezza, sfidando un temporale potente ed infinito che ha fatto anche dei danni, il mio iPhone per esempio annegato sotto tanta acqua.
Noto una signora davanti a me, comincia a saltare come una dannata ma avrà forse 60 anni. Non li sente evidentemente, e non smette di certo, ma raddoppia slancio ed energia a ogni riff.
Poi c'è una famiglia: il padre sui 50 con gli occhialini tondi e la faccia da professore, la moglie bionda ed educata, due figli di circa 15 e dieci anni.
Quando il concerto è partitol e ancora di più quando è attaccato a piovere, si è letteralmente trasfigurato.
Cosa stava facendo quella signore? Cosa faceva quell'uomo con la faccia da professore alzando le mani al figlio adolescente e saltellando su un piede solo, mentre la pioggia gli inzuppava la fronte e gli occhiali? Cosa faceva la moglie che ondeggiava sulle anche, con la figlioletta in braccio e le braccia a disegnare traiettorie in cielo?
Si facevano del bene, ecco cosa.

E così poco a poco è accaduto anche a me: da ospite mi sono sentito parte dell'evento. Ed è in questi moneti che poi si passa dallo stare fermi al muoversi, anzi a ballare un pò "come viene viene" sotto la pioggia sempre più battente, per oltre 3 ore, e sfidarla questa pioggia e allo stesso tempo amarla perchè alla fine in cuor tuo capisci che ti regalerà una serata irripetibile per il resto della vita e forse ti ha acceso qualcosa. 
Mi sono ritrovato a condividere quei momenti prima interessanti, poi belli e alla fine inebrianti con  gli amici e con tanta, tantissima gente che era lì come me che ero al primo concerto, come chi era al trentesimo; chi con 20 anni e chi 60 e chi 12.. tutta gente che non conosci ma a cui senti di volere empaticamente bene perchè per un momento ci siamo ritrovati tutti insieme sotto lo stesso mood e tutti felici e i problemi e le speranze sono le stesse, per tutti, in quel momento.
Siamo rimasti esaltati e noncuranti di tutto quel che accadeva fuori, o che sarebbe accaduto dopo quello stadio.. c'è stato solo qui e ora per quelle tre infinite ore e oltre ed anche io ho quasi singhiozzato pensando che "The rising" parla dei pompieri morti l'11 settembre, che "Born to Run" è il messaggio di Steve Jobs lanciato 20 anni prima e chi se ne frega se i pezzi non sono sempre dello stile musicale che più amo.. qui si parla di energia forte e pura come un treno e avrei voluto che non finisse mai ed il merito di questa atmosfera indimenticabile alla fine ho dovuto ammettere felicemente a me stesso che è il suo, di quell'uomo che ama alla follia quel che fa ed è in grado di trasmettere come pochi le emozioni. Il merito è suo e della sua fantastica band.

Grazie Ciccio, dove andrà noi ci saremo, nella catarsi collettiva e nel sogno della vita (dream of life!).