lunedì, novembre 20, 2017

il mio derby in testa

Insomma dai, io tifo per due squadre.

La mia squadra è la Fiorentina, lo è da sempre, visceralmente. L'ho vista dal vivo 53729 volte, da Roma a Glasgow, da Imola a Gubbio. Mi ha fatto piangere e soffrire. Perchè il calcio è sofferenza. Mi ha fatto sentire parte di qualcosa. Mi ha insegnato tanto. 
La mia amica è la Spal, la squadra della mia mia città. L'ho vissuta a 18 anni con gli amici, trasferte bellissime che sono state un pò la mia formazione sul campo, poi è stata il bar sport la domenica con gli amici, il posto dove ritrovarsi, poi di nuovo a 40 con gli stessi amici, è tornata ad essere incredibilmente fonte di passione, dopo essersi fatta dimenticare per tanto tempo. E ieri, come in una catarsi, per la prima volta incontrava mia moglie, quella con cui ho la condivisione dei beni immateriali.

Ecco l'ho detto. E so che non si deve. E so che, in fondo, siete in tanti come me.
E d'altronde com'era possibile che andasse diversamente.. mi sono appassionato di calcio subito dopo i mondiali dell'82, il Mundial, e mio padre mi portava a vedere quella squadra che aveva quel capellone biondo con la maglia numero 10, quello sfortunato che non aveva mai vinto niente, ma un mondiale sì, e guardava le stelle. A mio padre della Spal è sempre interessato poco, da quando ha avuto qualche soldo in tasca era già nelle paludi della B e C, e chi glielo faceva fare allora.

E allora ci pensava mio nonno, provava lui a tenere accesa la fiammella, andavo ogni tanto in gradinata con lui ma sarete d'accordo con me che innamorarsi di Paradiso o di Primizio non era facile (di Fermanelli forse sì, ma lì ci sarebbe da aprire un capitolo a parte..) quando alla tv (e nel mio caso, allo stadio ogni tanto con papà) vedevi dei campioni così grandi e iconici.Come me, lo so benissimo, tutti i miei amici d'infanzia e d'adolescenza. E pure tanti di quanti ho conosciuto dopo. La Spal stava simpatica a tutti, molti andavano allo stadio e conoscevano i cori della curva fin da bimbi, ma principalmente seguivano le squadre con le strisce, le punizioni di Platini e i tiri di Rumenigge, e dopo dei 3 olandesi. 
Poi si andava alla Spal, quasi come che non fosse peccato, tanto era come un altro sport, tante erano le categorie che la distanziavano dalle squadre che si vedevano in tv alla domenica.Ogni tanto sbucava un ragazzo che diceva che lui era della Spal, e gli altri di rimando a sollecitarlo "no dai, non è possibile.. ok siamo tutti della Spal, ma qual'è la squadra forte per cui fai il tifo?!"

Crescere in un clima così ti distrae da tante domande, ti sembra possibile fare ed accettare più o meno tutto, anche vedere il sabato un Fiorentina-Juventus dal vivo poi il giorno successivo invadere Cento per il derby della C2, tanto "sono sport diversi". E' come avere una moglie e una migliore amica, che poi col tempo scopri che è possibile anche questo, nella vita vera: altrochè se è possibile. Puoi pure finirci a letto con l'amica, poi tornare dalla moglie. E continuare a farti domande.

Il tifo per lo squadrone, col tempo, ad alcuni si è radicato ad altri meno, principalmente per cause indipendenti la nostra volontà. Una cosa la so per certa: dopo l'ubriacatura di stadio e trasferte al seguito della Spal dei primi anni 90, le cose si sono messe male così a lungo che i puri spallini li abbiamo potuti contare, perchè erano pochi. Io non so se loro oggi contano più degli altri, ma io li guardo con grande ammirazione. Partite a Modena, Rovigo o Cesena ho continuato a vederne, più per affetto e appartenenza alla mia città che altro, e ho vissuto giornate al Mazza davvero umilianti, che mi convincevano a disertarlo per qualche mese per poi, inevitabilmente , ritornarci. A volte con gli amici, a volte magari col nostro stendardino che un pò tutti ci rappresenta, i miei amici ed io. 
Al contempo a Firenze arrivava Cecchi Gori, poi Batistuta e Rui Costa e gli anni dell'università si dipingevano indelebilmente di viola, con il denaro settimanale consegnato dal babbo per la settimana di studio e vita a Forlì che si trasformava in budget per vedere la viola a San Siro o in Fiesole, e il resto della settimana a mangiare creckers e tonno. Anni stupendi e anche un pò pericolosi, trasferte memorabili e ricordi perenni.

Quello della Spal sembrava sempre un altro sport, una passione che non va via ma che accarezzi perchè sai che è debole ed indifesa, perchè ti vergogni quando associano la tua città alla tua squadra che forse non esisterà più. Poi le cose accadono con una velocità tale che non fai in tempo a metabolizzare e ti ritrovi a San Siro che sì, cazzo, pensi e ora come faccio?!
So che qualcuno di quelli che sta leggendo mi ritiene un perfetto idiota e ha la risposta pronta per me: beh che lo faccia, che mi scriva. Io la risposta, non ce l'ho. 
E badate bene: io non sono una di quelli che ormai pensa che il calcio sia un hobby. per me il calcio rimane la solita passione e sofferenza di sempre, allo stadio vado tutte le volte che posso, ne parlo, ho amicizie profonde legate a Firenze, e gravitano quasi tutte attorno alla Spal quelle di Ferrara (e amo Bologna, ma non voglio terrorizzarvi del tutto con questa mia confessione odierna). 
Ma non chiedo di essere capito.

Io sono uno di quelli che "sua moglie", la squadra che si era scelto da bambino, anche grazie all'influenza del babbo, non la dimenticherà mai. Sarà sempre il primo risultato che guardo la domenica sul telefono Ma al contempo, cresce inevitabilmente quest'altra cosa che... "son ferrarese e me ne vanto!" lo cantavo a Bologna nel 1993, perchè ora no? Ora che ho trovato una società che mi fa sentire orgoglioso? Lo so, lo so.. gli psicologi stanno fregandosi le mani, che sti problemi li abbiamo in tanti (e no, non si curano)

Tifare due squadre non è il demonio, è una cosa che accade. E ritrovarsi al terzo anello di San Siro a urlare indiavolati è una cosa che da un lato aspettavi da una vita, dall'altro non avresti mai voluto vivere perchè era il terreno degli squadroni, e ora ci sono anche le maglie biancoazzurre. 
D'un tratto mi sembrano chiari tutti i paragrafi senza senso nei libri di Nick Hornby, ma è così: il tifo non conosce ragione e non ha comandamenti. 
Le gioie non si moltiplicano, le sofferenze sì, e ieri per Spal-Fiorentina il mio sistema interno è andato in tilt e non ce l'ho fatta a entrare. Avrei sofferto troppo. Forse mi sono fregato da solo, forse doveva andare così e basta.
“No, domani non ci vengo alla Spal. Io tifo Fiorentina ma sarei comunque troppo dispiaciuto se perde la Spal. E troppo incazzato se perde la viola! Questa partita era meglio non farla del tutto” così ha sintetizzato il mio babbo, molto più bravo di me.


Il giorno dopo, purtroppo, sto ancora male.

venerdì, ottobre 20, 2017

Sono i piani che muovono tutto

Sbaglio la chiave da infilare nella toppa per aprire casa.
Poi, l'altra mattina, non mi veniva più in mente nessuna delle mille password che utilizzo al lavoro.
Perchè sono mancato due settimane, certo. Ma anche per qualcosa in più, perchè ho avuto la testa in vacanza. Vado a fare la spesa e pago col bancomat, PIN: primo, secondo, ultimo tentativo..
Ok ho resettato, e ora non so se voglio davvero tornare a questo mondo qua, o lasciarmi in quello alle spalle.

Ormai un pò più di qualche giorno è passato, e il ritmo del sudamerica forse mi è già uscito di dosso, però credo che sia qualcosa che vada trattenuto, per quanto possibile, riassaporato ancora una volta perchè è qualcosa che - almeno su di me - fa effetto, ha la forza di un cambio permanente e la fascinazione del viaggio mai del tutto concluso, quindi col mistero un pò incorporato.

Un semplice momento offre il fianco allo spleen. Andrea mi lascia lungo la Avenida Forest, saranno le 5 del pomeriggio, veniamo da una giornata di chiacchiere lavoro e idee al Peru Beach, dove sono finalmente riuscito a mettere in fila un pò di contenuti per il progetto del podcast sullo Spallino, o quel che sia, e non mi par vero.
"Per arrivare all'hotel entra di qui, nelle stradine a sinistra. E' Colegiales, dicono sia il quartiere con la più alta qualità di vita della capitale, ci sentiamo domani!" e le ultime parole erano davvero corrette, perchè da allora ci saremmo inviati sfilze di messaggi vocali.

Cammino in questo quartiere ordinato, di case basse e tipiche e mi ritrovo a pensare alla loro storia, chi le aveva costruite e quando, il loro prezzo, come vivono la vita questi, che potrebbero essere i miei vicini. I ciotoli rettangolari delle strade, tutti intarsiati e levigati, con macchie di asfalto talmente perfette nel loro essere sgarruppate, che mi sa che mi sono innamorato.
Cazzo, come sempre nella vita: quel che mi piace una volta poi mi ruba il cuore per sempre, che si tratti di ragazze canzoni, istanti, oggetti, abitudini e, sì, città. Ci ho fatto 40 puntate di un romanzo radiofonico, ricordate?!
Dromomania: ebbene, più passa il tempo e più mi convinco che sia davvero Buenos Aires la città che è la mia malattia e la mia cura.

Ti starai chiedendo perchè ne sia così convint, quasi ti sento.. io lo so perchè: mi ritrovo dopo un altro pò di passi - e ti giuro non mi capita quasi mai, a onor del vero - a pensare alla felicità. Sarà la luce che filtra tra le grandi foglie dei platani e delle acacie e si stampa sui murales magnifici alle pareti, sarà la primavera, Sarà quella ragazza che passa in bici o quello che porta una nuvola di cani al guinzaglio. Sarà questo inutile giorno perfetto: cos'è la Felicità? La risposta, quella, è sempre la stessa, ormai da un pò di tempo a questa parte. La felicità è la libertà, e qui mi sento libero di poterlo finalmente pensare.

Raggiungo l'hotel e parlo un pò con la barista, che ama la mia parlata strampalata e sogna l'Italia. Gemelli diversi e perfetti sconosciuti, questo sono i ragazzi sbarbati che prestano servizio in quest'hotel, in confronto agli italiani: a me sembrano più che simili, ma con attitudini tutte diverse. Qui c'è tutto da fare, tutto è scalfito e da rinnovare, disincantato e accessibile. In Italia è scintillante o in disuso, perfetto o malandato e soprattutto inaccessibile e con l'eterna sensazione del "tutto già fatto". Fanculo, come mi ha reso sociologo questa passeggiata nella capitale.
C'è la musica di Amy Winehouse nell'aria, ma dovete sentirla anche voi, proprio in questo momento, per ricevere un pò di quelll'atmosfera che si respirava in quel momento, che sto tentando di raccontare: dai schiaccia qui.
Come fai a non pensare che la vita è bella.
Svegliarsi la mattina e stare bene, tutti i pianeti perfettamente disposti e anche l'energia giusta e la testa sgombra.. ecco, sta tutto tutto qui.
La vita è bella e la vita è sofferenza, qualunque cosa canti Amy a me mi arriva sempre questo insieme di feelings struggenti come un tango che però non è un tango e quasi non riesco a definirlo, lo stile di Amy. Però arrivo in un attimo alla conclusione che allora va bene, l'amiamo e soffriamo per lei, la vita. Intendo queste sfaccettature della vita, quelle che mi hanno portato qua, e prima in Colombia e dopo chissà dove. L'apertura, l'imprevedibilità, i piani, ché sono i piani che muovono tutto.

Ho buttato via una vita, per l'effimero di un lavoro e tante miglia aeree? oppure ho costruito il castello dei miei ricordi e delle mie idee che solo così, vivendo in diagonale come volevo, ho potuto far crescere? Ah boh, non lo saprò mai. Non rimane che godersela. Che non sai quanta ne resta, e i piani è bello realizzarli per poi farne degli altri. Da troppo, troppo ne scrivo e basta.

Buenos Aires che è la malattia e la cura.. avevo un ricordo speciale, una cosa che avevo scritto a una persona luminosa, immaginandomela accanto a me, e mi sale alla mente lì, a dodicimila chilometri da casa e a pochi metri dal mio sogno, quello di avere un motivo per ritornarci. Ci ripenso tutto il giorno, e quello dopo. Perchè questa sinapsi proprio adesso?


Andare a ritroso a leggere i messaggi, i post, le annotazioni e trasalire quando sale alla mente quell'idea pulita, cristallina come allora... ma 5 anni dopo ormai non è più lucida, è impolverata, e tu improvvisamente ti senti inadatto e senza appigli. Ma è un momento appena, perchè la testa è così in sincrono e la colonna sonora di questo vagabonding sudamericano è così perfetta che non c'è tanto tempo per fare i nostalgici.
E' una città che mi vedo vivere, con un lavoro e una famiglia, o senza lavoro e senza famiglia, ma trovando occasioni stupide per andare alla cancha o da Salgado Alimentos con Andrea per parlare di politica internazionale e figa, di import di passeggini upscale e del significato del profilo Instagram di Bonucci, di meditazione, tinder e del situazionismo di Guy Debord... Andrea, uno che ne trovi forse dieci nella vita con un mood così perfettamente in linea con il mio. Lo vorrei incontrare tutti i giorni, Andrea. E invece mi basterebbe incontrarlo due mesi l'anno e per il resto mi accontenterei di un pò di messaggi vocali al giorno, mentre la tecnologia fa il suo corso.
Frequenterei anche Valentina, con la quale vorrei tanto lavorare perchè un pizzico di riminesità nel tessuto bonarense produce un risultato quasi perfetto. Sono certo che mi farebbe iscrivere al suo circolo, giocare a tennis e magari correre una maratona. E poi Nacho e Gus e chissà chi altri, pure le nuove generazioni con i servizi a domicilio.
Fai delle liste di desideri Emanuele, colleziona tempo, comincia subito, perchè poi saranno tutti da realizzare.

Vagabonding aveva significato Bogotà prima, mai visitata prima e palestra di confronto sulle mie teorie curative del sudamerica. Sensazione di pericolo e natura selvaggia, classe ricca e classe povera, il mito di Escobar e il terrore di Escobar, "si senor" e "con mucho gusto" infilati ovunque, il bad feeling dell'imperialismo americano che penetra e inquina tutto, appiattisce tutto. E poi Sabrina, a cui sarò sempre grato, che lascia l'adorato Ecuador è marcia 25 ore di pullman per vedermi un pomeriggio, pranzare e passeggiare insieme e poi parlare di fronte a un caffè italiano (in un bar italiano, con una macchina del caffè italiana, un bancone frigorifero del gelato italiano, uniformi dei camerieri a marca italiana, scooter sul marciapiede con bandiere italiane e adesivi "46" e alcuni "58" appiccicati a tutti i motorini sparsi attorno a noi, tanto che ripenso al "Hey man, Italy still means something" che mi disse Tolga sul lungomare di Izmir e penso che sì, ha davvero ragione) di come il suo pellegrinare dalla fine del mondo fino a lì l'abbia resa una persona migliore e piena di risorse, ma anche di fiducia verso l'altro, verso il mondo. Un messaggio bellissimo che mi è rimasto addosso e conto di non scordarmelo nei prossimi scontrosi giorni di lavoro. Sabri in qualche modo irradia positività, profondità e benessere come poche altre persone al mondo e tante volte mi sono ritrovato a pensare a lei, immagino che certo non sarà un caso.

Non è tutto ordinato, lo so, perchè arriva da qualcosa di molto intimo dentro di me. Anzi, è tutto così sconclusionato che concludo dall'inizio, dal momento in cui dopo un paio di anni rivedo Andrea davanti a una birra, in un bel quartiere di una città e un paese dove il calcio è allegoria del vissuto quotidiano, dove arrabattarsi si traslittera in "parare i rigori" e chiedere un aiuto inevitabilmente diventa "supplicare un cross al centro".
Con Andrea si parla di convenevoli e poi lui in 4 minuti, 5 al massimo, mi racconta che va dallo psicologo con cui parla di questo e quello, poi va a fare meditazione e quel momento di bilanciamento gli risulta essenziale per riequilibrare l'utilizzo di mente e corpo, di pensieri di ansia e consapevolezza. Scatta il salvavita interno e - sospeso in un limbo per qualche secondo - finisco col pensare da quanto cazzo di tempo non ho una conversazione così profonda e allo stesso tempo semplice, disincantata e istruttiva. Al che lui dice qualcosa tipo "e poi arriva un contatto umano e il castello delle tue convinzioni cerebrali cade!", e al contempo mi tocca la mano, ed è come uno spleen, un momento che non so perchè mi ricorderò a lungo. E' lui il testimone di una vita piena solo di metropoli e pampa ma anche vissuta in Technicolor, più vivida e il perchè è il suo presente. Ragazzi lo so che non avete capito, ma vi basti sapere che questi diventeranno un giorno soci, e ci ritroveremo a discutere come impostare il piano strategico per il biennio successivo mangiandoci una pizza Nel Forno. Sarà un golazo de mitad de cancha! Sto posto pazzo e incompleto, furbo e creativo, dove presentano il tg dalla tv di stato in minigonna e con un'energia tutta sua, quella di tutta l'America Latina, che come dice Massi "non si può dimenticare una volta che la si conosce".

Chiudo con una considerazione: il blog non è più il mezzo adatto per queste sbrodolate romantiche e desolanti. Ma che ne so cosa sia giusto utilizzare, nel 2017? un video in slowmotion su cui io racconto i miei pensieri? Un grande direttore della fotografia per uno sfondo con i panorami mozzafiato, mentre un'assistente suadente legge le mie note? Un ologramma che si siede sul divano e ti trasmette la mia esperienza?
Non lo so, io so solo che sono stati momenti di pace e di riappropriazione di me, di piacere e di gioia di vivere. Tutto il resto, lo sapevate già.




martedì, giugno 27, 2017

il concerto che mi suonerà sempre in testa

Sabato sono andato a vedere il concerto di Eddie Vedder, e ho scoperto almeno 3 cose





Se hai qualcosa dentro, diventi qualcosa di diverso da quello che eri
Per fare una serata magica ci vuole più di una magia
Siamo ancora giovani finchè continuiamo a sommare


Ma fatemi spiegare.

Io non ci dovevo andare, è stata la mia amica Alessandra, refrattaria ai concerti, che mi ha suggerito questo appuntamento, che ha preso i biglietti.. per poi non venire. Chiaro, finisce sempre così no? Alla fine sono andato con la mia vecchia-nuova compagna di avventure musicali Emma, con la quale siamo ormai a una bella somma di serate sotto un palco. Ma non è certo solo questo.

C'è che io la voce di Eddie Vedder la conosco da un quarto di secolo, quando forse nemmeno diciottenne cominciavo a sofisticare i miei gusti e ho capito che no, i Pearl Jam non mi piacevano.
Per un sofisticato come me era più bello il suono inglese, meno corrosivo di questi cappelloni di Seattle.. si ok i Nirvana e Kurt Cobain avevano un fascino indiscutibile, ma forse - ripensandoci oggi - è stato "Achtung Baby" degli U2, uscito verso natale del 1991, a segnare una divaricazione netta tra quell'ammasso di musica che ascoltavo prima, e le scelte che sarebbero seguite.

Prima c'erano sì i Pink Floyd, ma c'era anche Vasco, Ligabue (ebbene sì), c'era qualcosa di Bowie, i "vecchi" U2, i Simple Minds..  c'era tanta merda contemporanea (ma tanta, tra fine 80s e inizio 90s..) e poi sono entrate "about a gilr" con la voce sempre indietro, sempre roca di Kurt Cobain, e quasi in contemporanea il suono nuovo degli U2 di Mysterious Ways, e io insomma ho scelto la seconda via. Che in poco tempo è diventata Massive Attack, poi Oasis, poi tante, tante cose... ma tutte abbastanza distanti dal suono ruvido e la voce lirica dei Pearl Jam, che ascoltavo sempre di straforo come un pò tutto il grunge (anche se sono sempre stato pazzo per quel diamante grezzo che è "Jar of Flies" degli Alice in Chains).

Tutto sto pippone per dire due cose, fondamentalmente: che nei primi anni 90 girava della gran musica, davvero. Losing my religion dei REM e Enjoy the Silence dei DM hanno contribuito a farmi capire che amavo il suono più pulito, più curato.. per dire. E poi che io quella musica là, chitarre e magari teste rotanti e salti e urla non lo prendevo, non pretendevo di capirlo ma non riuscivo davvero a salirci sopra. Poi Cobain si è sparato e quel sottile filo che mi teneva legato a quel mondo di Rock&Roll ruvido, scivolato nel grunge, si è spezzato per tanti, tanti anni.

Per questo sì conoscevo Vedder, ma forse senza la spinta di Ale non ci sarei mai andato, a sentirlo dal vivo.. perchè temevo la musica violenta del rock, e da ignorante e fortunato quale sono, manco sapevo che avrebbe suonato per due ore accompagnato solo da una chitarra elettrica, una acustica, un ukulele e un mandolino, solo per il breve tratto finale insieme a un altro grande musicista come Glen Hansard. Io non sapevo, ma Eddie Vedder, senza più l'impalcatura dei Pearl Jam, era evoluto fino a regalarci un concerto intimissimo per cinquantamila persone, e dio solo sa quanto intimo per ognuno di noi, sabato sera.
Per i vecchi fans dei Pearl Jam, per quelli che l'hanno conosciuto con la voce vecchia e il suono nuovo della colonna sonora di "Into the wild", per quelli che l'hanno conosciuto davvero sabato scorso, come me.
E qui lui ha dimostrato davvero di avere qualcosa dentro che lo ha fatto evolvere fino a riuscire a creare quell'epifania musicale che solo il primo concerto del Boss era riuscita a suscitare, almeno su di me.

Musica che non mi piaceva, che forse ora mi piace ma che non so se mai sarà la prima scelta, se devo mettere su un disco o un cd (scusate, sono vecchio e la musica prevalentemente la ascolto ancora così... che poi credo sia il segreto per capirci qualcosa, nella frenesia senza senso che ci circonda quotidianamente oggi, con i ricordi o le foto che si cancellano dopo poco.. ma vabbè non voglio uscire dal tema). Musica che lo so che non è la mia preferita, nemmeno oggi.. ma che mi emoziona.
Partecipazione forte, emozioni che partono dal palco e arrivano a noi lì sotto e poi ritornano al palco sotto forma di energia che genera nuova energia.. ecco quella cosa circolare lì credo di averla trovata, dal vivo, forse solo nei concerti di Springsteen e di Vedder sabato, che ripeto non sono "la mia musica prima", la mia scelta nè credo saranno mai la musica del mio funerale.

Ma forse la musica è una sola, sotto il cielo stellato.

Appunto. La magia di quella sera si respirava nell'aria, tra vecchi fans e facce del rock ormai belle pulite e con le braccia e le schiene tatuate. Ecco, forse una frattura della storia è avvenuta quando è caduto il muro di Berlino; una seconda frattura è avvenuta con l'avvento di internet; una terza è avvenuta con l'uscita di Achtung Baby (tutte in 5 anni fateci caso)... e la quarta frattura enorme della storia è successa nel momento in cui i tatuaggi hanno smesso di essere brutti e fatti male e addosso a gente borderline .. e hanno cominciato ad apparire addosso a gente figa, e sempre più grandi e colorati. Quando lo fissiamo sto momento? Boh.. prima dei selfie di sicuro, prima del ritorno dei vinili forse, prima dell'avvento dei voli lowcost forse... vabbè un'altra volta fuori tema. I titoli li ho scritti all'inizio, stavolta, facile rientrare nei binari.

Insomma: una serata perfetta si ha solo con la combinazione di magie, quindi non solo un biglietto comprato per te da altri senza nemmeno esserne del tutto convinti. Alla serata perfetta occorrono i compagni di sempre e quelli nuovi. Occorrono le sigarette simpatiche, occorre un suono sorprendente, occorre un tramonto perfetto coi fuochi sulle città del cuore, occorre che uno sconosciuto ti regali due braccialetti per il pit quando nemmeno di pensavamo. Occorre che quell'uomo enorme sul palco moltiplichi le emozioni con una serie di cover fantastiche, così che tutti si sentano un pò più vicini, un pò più dentro alla serata, con i Pink Floyd ne catturi tanti, con Neil Young altrettanti, con Imagine di John Lennon li catturi proprio tutti.
E con una stella cometa proprio alla fine di quel pezzo, una stella così pazzesca che tutti pensiamo sia un effetto speciale per quanto sia perfetta e ancora alla fine ce lo domandiamo, ma no è davvero una stella come come forse non ne rivedremo più per il resto della nostra vita.. beh allora è davvero questa, la serata perfetta, dove commuoversi per un pezzo sconosciuto che però arriva dritto al profondo, e scava ancora. Voce e chitarra e pensieri e speranze, tutto insieme e tutto bello distinto.
Questo sarà per sempre il concerto della stella cometa alla fine di Imagine, che lo vogliate o no, fans della prima ora e gente un pò lì per caso. Ma sarà, anche questo per sempre, anche molto di più, in un modo che io con le parole certo non riesco a spiegare.

Sul fatto che siamo giovani perchè accumuliamo ci ho pensato il giorno dopo, impilando il biglietto del concerto e il braccialetto del pit sopra a tanti altri.

Una volta lessi un post bellissimo su un blog altrettanto meraviglioso, in cui si ragionava che la vecchiaia comincia per sottrazione: si perdono capelli, ricordi, altezza, poi anche di più, se si subiscono operazioni. Poi si perde contatto e si entra in un dimensione diversa, mano a mano.
Noi sabato abbiamo lavorato invece sul lato dell'accumulazione: un nuovo biglietto, un nuovo cantante da seguire aspettandone il ritorno, un nuovo ricordo da mettere alle spalle, una nuova idea di come le persone che hanno davvero qualcosa da dire, lo possano dire evolvendo, in modi nuovi, senza perdere magnetismo. Poi ho fatto pace con l'unica canzone che mi è sempre piaciuta dei Pearl Jam, Black, che alla fine del viaggio di sabato, con sola voce e chitarra, mi è sembrata più bella che mai e mi ha fatto ritrovare il ragazzino che aveva fatto altre scelte, ma che ora in armonia fa spazio a suoni vecchi che diventano nuovi, a ricordi un pò ruvidi che diventano veri. Chissà... agli U2 il 16 luglio nuove sentenze!

W la musica, viva le notti sotto le stelle.