Izmir è distante un pomeriggio in macchina. 4 milioni di abitanti, Efeso e Cesme come gite fuori porta, paradiso per coloro che (rispettivamente) non possono stare senza arte e archeologia, vela e kite surf.
Una città adagiata su una baia fatta a C rovesciata, immaginate di simulare una C rovesciata con la mano destra: ecco, quella è la baia e Izmir sorge proprio lì, nell'incavo tra pollice e indice.
C'è un lungomare di 5, forse 6 chilometri e io ero lì per lavoro e, nonostante le bestemmie, devo dire grazie azienda che, per lo meno, in questi anni mi ha fatto scoprire quanto il mondo sia grande e diverso, come gli affari possano essere conclusi in molti diversi modi, come ci si possa capire al volo senza parlare una parola della lingua dell'interlocutore.
In questo lungomare, la sera 200, forse 300 ristoranti a fianco del seafront sempre pieni offrono branzino e pesce spada, frutti di mare e pistacchi, mezze e baklava. Tutto un lavoro così.
Parlassi un minimo di turco, non tornerei più indietro.
E come me direi che l'hanno pensata in tanti perchè in due sere di passeggiata e ristorante ho sentito parlare francese e tedesco, arabo e naturalmente italiano.
Mi infilo le sneakers e mi faccio una corsa di iodio come neanche in Sardegna due mesi fa, davvero una libidine.
Poi a cena organizzando business futuri, aziendali e personali, quando d'improvviso arriva un venditore di accendini che qui allarga la sua mercanzia a velieri in legno e sigari, mi si avvicina inquisitivo e mi chiede se prendo qualcosa. Alla mia risposta, si allarga un sorriso. Mi riconosce subito: "italiano? Lasciatemi cantaaaareee..... sono un italiano vero!".
Boh, non chiedetemi perchè, ma mi sono sentito non dico orgoglioso, ma quasi. Sempre storia, sempre testa girata al passato, sempre cose un pò di merda ma cazzo se c'era un rumeno seduto al posto mio, che gli cantava il vu cumprà?
Come dice Tolga: "Hey man, being italian still means something!"
Andate in Turchia, trovate un motivo e andateci
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