giovedì, settembre 25, 2008

Areoporti, città, incroci: di passaggio a Francoforte

Ciao, da oggi scribacchio futilità anche su occhiaperti.net eccola appena sfornata!

Entro in punta di piedi in questo bellissimo spazio perché, pur essendo per me ormai da anni esaurita l’età dello studio, mi ritrovo ancora a scrivere per il puro piacere di farlo, o forse magari per trovare il senso vero delle cose, che mi piacerebbe condividere con chi legge.
Il mio lavoro mi porta a vivere numerosi e spesso frenetici viaggi, di quelli che spesso vedi appena l’aeroporto, l’albergo in cui soggiorni e le tre-quattro facce che devi incontrare, stop. Altre volte va meglio, e con 4-5 giorni si elabora una vaga idea del posto in cui si è, a volte si fanno scoperte e comparazioni con l’Italia con sorprendenti risultati.

Sono a Francoforte, già toccata parecchie volte per appuntamenti di lavoro. E’ un luogo che mi mette addosso sensazioni sempre dello stesso tipo, ma ancora a me incomprensibili. E’ certamente una città cosmopolita e funzionale, però mi pare che le manchi un po’ l’anima. Per cercare di intravederla, mi sono fatto anche una corsa nel lungo Meno, come se fossi sulle nostre Mura, ma nulla. Nessun segno di contatto tra me e Francoforte, nemmeno di fronte a un cielo terso e a un tramonto fantastico che stagliava lo skyline dei quartieri industriali ora riconvertiti. Rimane l’effetto “acqua ossigenata”: il vero contatto umano lo offrono, tanto per cambiare, i latini: un cuoco italiano, una cameriera greca, una delegazione spagnola rumorosa e allegra. E’ certamente un problema mio, che non riesco a entrare in feeling con i cittadini della Westfalia.
Con la crisi incombente di numerose banche d’affari mondiali che qui hanno sede, il velo di tristezza che Francoforte si porta un po’ addosso, m’è parso stavolta più intenso del solito.

Per questo, e a malincuore, tralascerei la città concentrandomi su ciò che più mi impressione e che mi suggestiona, cioè il suo aeroporto, in questo caso è soprannominato Fraport. E’ sì perché gli aeroporti sono la mia passione: li studio, li conto, li analizzo. Mi lasciano quasi sempre a bocca i lunghi corridoi lungo i quali mi trovo a camminare. Esprimono inequivocabilmente il carattere del posto in cui si è, perché gli aeroporti - quelli sì - hanno un’anima, sempre! E quello di Francoforte rimane troppo silenzioso, grande, ordinato e pulito per i nostri standard, è senza dubbio tedesco.
Nel mio transito all’arrivo e soprattutto alla ripartenza, ho avuto l’impressione di fare temporaneamente parte di una vera e propria piccola O.N.U., con gli stessi principi aggreganti e distintivi. Perché nelle poche ore vissute in questi luoghi – non luoghi (direbbero i sociologi) non si riesce a rimanere insensibili di fronte al panorama delle diverse etnie che balzano agli occhi, ma non solo. Lungo i tappeti mobili non si fanno distinzioni di sesso, censo, religione: tutti corricchiano, con diversi gradi di educazione ed ordine probabilmente imposti dai propri luoghi d’origine. Che si tratti di acchiappare una consuetudinaria navetta di collegamento che ripete la rotta 10 volte al giorno, oppure di imbarcarsi su un enorme jumbo per un volo transoceanico, l’importante è muoversi vorticosamente e imprecare di fronte ai controlli di sicurezza, oramai sono indistinguibili dai camerini di un grande magazzino di abbigliamento.
E’ incredibile constatare poi come la lingua ufficiale di tutte queste aree di passaggio, in qualsiasi parte del mondo e quindi anche a Francoforte, sia questa sorta di simil-inglese semplificato e privo di ogni regola grammaticale: tutti si fanno capire grazie ad esso, ma al contempo rimane decisamente affascinante origliare sorpresi tra i gruppetti e sentire le loro incomprensibili ed esotiche conversazioni. Suoni del tutto indecifrabili che ci fanno tutti così diversi, in questo posto così standardizzato, e danno sale alla vita.

Qual'è il vostro aeroporto preferito, se ne avete uno? E la vostra città preferita?

In questi momenti di passaggio (dalla terra all’area, da un paese all’altro, da una lingua all’altra) capita di assistere a scene buffe ed irripetibili, migliori degli sketch di consumati comici: in attesa del check-in mi ha rubato l’attenzione l’inveire di un elegante uomo, nel suo ordinario e perfetto giacca-cravatta-valigetta, verso una macchina per la biglietteria automatica, rea di non volergli restituire la tessera di Frequent Flyer. Un calcione bene assestato, e senza risultato, ha dato colore al tutto. Naturalmente, gli urlacci che emetteva erano incomprensibili a tutti o quasi: turco, credo. Bella lingua per arrabbiarsi.
Nell’attesa mi capita di pensare a cosa accadrebbe se, volontariamente o meno, finissi col perdere il passaporto o la carta di imbarco quando ormai è troppo tardi, e nemmeno stavolta ha fatto eccezione. Farei forse la fine di Tom Hanks in “The Terminal”? Deciderei forse di vivere per un po’ in questo luogo franco, in attesa che tutte le cose in bilico della mia vita si mettano a posto da sole? E chi lo sa: questa fantasia ricorrente credo risalga al tempo della pre-adolescenza, quando bel bello, all’autostazione di Corso Isonzo, salii sulla corriera sbagliata così io, originario di Cona, mi ritrovai nelle campagne oltre Copparo. Una sensazione di felice smarrimento, molto bella, che ricordo ancora. Vi è mai capitato di perdervi ed essere felici?
Quel che è certo è che ogni tanto, camminando lungo gli ingressi d’imbarco dei voli o guardando negli immensi e rotolanti tabelloni delle partenze, morirei davvero dalla voglia di ignorare i controlli ed i posti assegnati e prendere un aereo a caso, senza nemmeno leggere la destinazione. Immagino che sia successo a tutti voi, l’immaginazione ci porta sempre un po’ troppo oltre. Ecco perché son finito a fare un lavoro che mi fa viaggiare tanto e mi lascia il tempo, in questi frangenti, di volare un po’ con la fantasia.
Vabbè, stavolta ho fatto le cose per bene, mi sono infilato nel terminal 1, poi ai controlli e quindi al Gate 46, in attesa del volo LH3978. Mi sono allacciato le cinture e mi sono subito addormentato, in questo aereo tedesco carico di italiani. Ed ho sognato la prossima città e il prossimo aeroporto che vedrò, e del quale spero vi racconterò.

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